Un ritorno al carbone contro l’emergenza energetica?

Articolo del 09 Marzo 2022

All’aggressione all’Ucraina da parte della RussiaStati Uniti e Unione europea (e non solo) hanno reagito imponendo una serie di sanzioni con lo scopo di isolare l’economia russa e bloccare importazioni ed esportazioni di beni e di denaro da e verso il paese. Le misure in atto, come ha recentemente sottolineato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, “avranno anche un costo per le nostre economie, ma è un prezzo che siamo disposti a pagare” per isolare il presidente russo Vladimir Putin e indurlo a cessare le ostilità.

Certamente non è semplice quantificare gli effetti delle sanzioni sui due blocchi, ma la questione che ci riguarda più da vicino, e più nell’immediato, è quella relativa all’energia, e in particolare all’approvvigionamento di gas. La guerra tra Russia e Ucraina potrebbe portare alla definitiva interruzione delle esportazioni di gas dalla Russia all’Unione europea, tra l’altro già ridotte di un quarto negli ultimi mesi. Alla possibile emergenza energetica che ne conseguirebbe, il premier Mario Draghi ha recentemente reagito aprendo alla possibilità di tornare al carbone, almeno per un periodo.

“Potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone”, ha detto nel corso dell’informativa alla Camera sul conflitto tra Russia e Ucraina, aggiungendo di essere “pronto a intervenire per calmierare ulteriormente il prezzo dell’energia, ove questo fosse necessario”. Inoltre, sembra essere intenzione di Draghi anche raddoppiare la capacità del gasdotto Tap, che attraversa il nord della Grecia, l’Albania e il mare Adriatico trasportando in Italia il gas naturale estratto in Azerbaijan. Il 2 marzo anche il ministro tedesco all’Economia, Robert Hacbeck, ha fatto eco a Draghi, spiegando all’emittente Deutschlandfunk che “la Germania è pronta. Nel caso estremo, nel breve termine si potranno tenere in funzione le centrali a carbone”.

Lo scenario attuale

Al momento, come ha ricordato lo stesso Draghi, circa il 45% del gas che l’Italia importa proviene dalla Russia, e negli ultimi mesi la fornitura ha già subito pesanti rincari (con il conseguente aumento dei prezzi delle bollette). Rispetto a dieci anni fa, oggi per il gas russo paghiamo il 27% in più.

Purtroppo, avremmo dovuto essere più lungimiranti, e provare a diversificare le fonti e i fornitori di energia negli ultimi anni, cosa che non è successa. Al contrario, siamo andati nella direzione opposta, riducendo la produzione interna di gas dai 17 miliardi di metri cubi l’anno del 2000 ai circa 7 miliardi di metri cubi del 2020, a fronte di un consumo nazionale rimasto sostanzialmente costante, e compreso tra i 70 e i 90 miliardi circa di metri cubi.

Ed ecco quindi che si rende necessario agire tempestivamente su due fronti. Il primo è cercare di consumare meno e ottimizzare le forniture esistenti, imponendo per esempio una politica di austerity energetica ai grandi impianti industriali, definendo nuove soglie di temperatura per il riscaldamento delle case (in questo, fortunatamente, ci aiuta il fatto che siamo prossimi alla primavera, anche se dovremmo cercare di farci trovare pronti per l’arrivo del prossimo inverno), snellendo la burocrazia per autorizzare la produzione di sessanta gigawatt di rinnovabili entro giugno. Il secondo è trovare alla svelta una toppa che ci permetta, almeno nel breve periodo, di non correre il rischio di rimanere senza energia. Ed è qui che (ri)entra in scena il carbone.

Come funzionano le centrali a carbone

Insieme a petrolio e idrocarburi naturali e gas naturale, il carbone è un combustibile fossile, ossia una sostanza derivata dalla trasformazione di sostanze organiche, contenenti carbonio, che si depositano nel sottosuolo nel corso delle ere geologiche. Le sostanze organiche la cui trasformazione dà luogo alla formazione di carbone sono principalmente il legno e più in generale tutti i vegetali, che nel tempo sprofondano sottoterra, vengono coperti da strati di sedimenti e infine si decompongono e, per l’appunto, si carbonizzano.

Il carbone è presente in diverse forme, ciascuna della quali ha diversa distribuzione, abbondanza e potere comburente (per esempio torbalignitelitantraceantracite, e così via), e in passato era la materia prima più utilizzata per la produzione di energia nelle centrali termoelettriche. Si tratta di impianti in cui il carbone, bruciando, riscalda l’acqua presente in una caldaia: il vapore dell’acqua in ebollizione mette in azione delle turbine che infine, tramite un alternatore e un trasformatore, producono energia elettrica che viene messa in rete.

Le centrali in Italia

Attualmente, in Italia sono presenti sette centrali a carbone. E fino a poco tempo fa erano state tutte destinate allo spegnimento o alla conversione, in nome della transizione energetica. Dei sette impianti, distribuiti in SardegnaLazioPugliaFriuli Venezia-GiuliaLiguria e Veneto, cinque sono di proprietà di Enel e gli altri due di Ep Produzione e A2A. L’unica centrale effettivamente spenta è la Eugenio Montale, di La Spezia, che ha una capacità di produzione di circa 680 megawatt di potenza.

Per la Andrea Palladio di Fusina (970 megawatt circa) e la Federico II di Brindisi (oltre 2600 megawatt, una delle centrali più grandi d’Europa) era stato invece avviata la chiusura parziale di alcuni gruppi e un processo di riconversione. Le altre due centrali Enel, invece (Torrevaldaliga Nord, nel Lazio, 1980 megawatt, e Grazia Deledda, in Sardegna, 480 megawatt), sono ancora operative. Ci sono infine gli impianti di Fiume Santo, sempre in Sardegna, e quello di Monfalcone, in Friuli Venezia-Giulia: anche loro al momento sono operativi e caratterizzati da una potenza rispettivamente di 600 e 336 megawatt. Mantenere operative queste centrali, rimandandone la conversione, potrebbe garantirci circa il 15% dell’energia di cui abbiamo bisogno. Una quota non sufficiente a svincolarci del tutto dalla dipendenza del gas, ma comunque abbastanza significativa.

Il problema dell’inquinamento

Il problema è che il carbone, come tutti i combustibili fossili, è altamente inquinante. E infatti l’Italia, assieme ad altri paesi, si era impegnata, nel corso della conferenza sul clima delle Nazioni Unite a Glasgow dello scorso anno, Cop 26, a non farvi più ricorso, nonostante CinaIndiaRussia e Australia avessero espresso in quell’occasione parere contrario.

Al netto di queste posizioni, comunque, l’orientamento generale (per fortuna) è quello di limitare il più possibile l’uso del carbone, fino a farlo scomparire del tutto dalle fonti energetiche. Il presidente cinese Xi Jinping, durante la settantaseiesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha annunciato la fine degli investimenti cinesi nella costruzione di nuovi impianti a carbone nel mondo, e pochi giorni dopo il colosso statale Bank of China ha confermato che non estenderà ulteriori finanziamenti per impianti a carbone. Certo, tutto questo avveniva prima della guerra. Poi gli eventi, come abbiamo visto, sono precipitati all’improvviso. E quello che succederà adesso, anche in campo energetico e ambientale, è indissolubilmente legato allo scenario geopolitico dei prossimi mesi. Sul quale, al momento, è difficile fare previsioni.

 

Fonte: Galileo

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