Variante Omicron, i sintomi sono più gravi? Quanto sono protetti i vaccinati?
Articolo del 29 Novembre 2021
Il «paziente zero» italiano di Omicron aveva già ricevuto due dosi al momento dell’infezione in Sudafrica. Dobbiamo temere che la nuova variante sfugga ai vaccini?
Serviranno alcune settimane per poter rispondere a questa domanda, ma le aziende che producono vaccini a mRna sono già al lavoro su un preparato specificamente diretto contro Omicron che potrebbe essere pronto — secondo Pfizer — in «cento giorni». La possibilità che il ceppo «buchi» la protezione offerta dagli attuali vaccini è però ritenuta remota dagli esperti. «È più probabile che il virus sfugga parzialmente alla difesa immunitaria, come già accaduto nell’infezione da Delta in cui l’efficacia dei vaccini è scesa rispetto alle varianti precedenti, ma la difesa dalla malattia grave è rimasta alta — spiega Sergio Abrignani, professore ordinario di Immunologia all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi» —. Nel caso di Omicron è possibile un ulteriore calo della protezione dall’infezione, ma ancora una buona difesa dalla malattia severa».
Il nuovo ceppo presenta 32 mutazioni nella Spike: è preoccupante?
Non è detto che tutte le mutazioni siano «negative», ovvero che rendano il virus più trasmissibile o patogenico. Omicron ha alcune caratteristiche comuni alle varianti Beta e Gamma (quelle ritenute più «pericolose»), ma per capire la capacità degli attuali vaccini di proteggere dall’infezione e dalla malattia sono necessari ulteriori dati sull’effetto protettivo degli anticorpi e dei linfociti T. «Gli anticorpi neutralizzanti inibiscono l’infezione impedendo l’ingresso del virus nelle cellule, mentre per la protezione dalla malattia servono anche i linfociti T, che uccidono le cellule già infettate — chiarisce Abrignani —: gli anticorpi neutralizzanti riconoscono per lo più la regione molto mutata della Spike che si lega alle cellule umane, i linfociti T colpiscono invece regioni del virus che non hanno alcuna funzione d’interazione con le cellule umane e che sono rimaste ben conservate rispetto alle varianti precedenti».
La terza dose di vaccino è protettiva, anche se non «perfetta» per Omicron?
Sì, perché rafforza la risposta immunitaria che, come detto, colpisce anche aree del virus immutate rispetto al ceppo originario, quello di Wuhan. Un eventuale vaccino specifico per la spike di Omicron — come quelli annunciati da Pfizer e Moderna — potrebbe essere utilizzato per la quarta dose.
È possibile, in linea teorica, che Omicron causi sintomi più gravi?
Sì, anche se i primi dati provenienti dal Sudafrica indicherebbero che, almeno nei vaccinati, si verifica una malattia lieve. Bisogna però considerare che la popolazione del Paese è giovane, con un’aspettativa media di vita di soli 58 anni. Nei prossimi giorni vedremo cosa accade quando Omicron si diffonde in zone dove sono presenti molti anziani e persone fragili. «Le domande a cui dovremo rispondere sono tre — dice Sergio Abrignani —: è più diffusiva della variante dominante (Delta), come sembrerebbe dalle primissime informazioni? Induce una malattia più severa? I vaccinati dal ceppo Wuhan sono comunque protetti — almeno in parte — da malattia severa, sintomi lievi-moderati e infezione?». Giorgio Palù, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, ha affermato ospite a Mezz’ora in più che «non ci sono ragioni scientifiche per un allarme. Abbiamo il sospetto che Omicron sia molto contagiosa — ha aggiunto —, ma un virus con tutte queste mutazioni potrebbe anche rivelarsi meno virulento».
Rischiamo nuovi lockdown?
L’arma che abbiamo in questo momento è il vaccino, è importante che tutti proseguano, completino o, eventualmente, inizino il ciclo vaccinale di tre dosi (due per i guariti). Un primo effetto di Omicron c’è stato, complice anche l’introduzione del super green pass: rispetto alla scorsa settimana sono aumentate del 40% le somministrazioni delle prime dosi.
È possibile che la variante Omicron si sia sviluppata, come ipotizzato dal genetista François Balloux dell’University College di Londra, in un soggetto immunocompromesso, forse perché affetto da Hiv/Aids non trattato?
È probabile, visto che in Sudafrica la diffusione di Hiv/Aids è molto elevata. «Non stupisce che una nuova variante possa essere comparsa la prima volta nell’organismo di un individuo con poche difese immunitarie, dato che in quella situazione Sars-CoV-2 può replicarsi per diversi mesi (avendo quindi molte occasioni di accumulare mutazioni) prima di essere eliminato — puntualizza Abrignani —. Al contrario, i vaccini in genere non favoriscono mutazioni, come si è sentito dire erroneamente negli ultimi mesi. La presenza della forte risposta immunitaria vaccinale risolve l’infezione in poche settimane, riducendo il numero di replicazioni del virus».
Fonte: Corriere della Sera